giovedì 22 dicembre 2016

Fuga dal mondo con
Juri Camisasca e Rosario Di Bella

Juri Camisasca e Rosario Di Bella

Dagli attici di Milano ai giardini di Milo, dai ritmi celestiali della vita monastica alla natura esplosiva dell’Etna, c’è un piccolo lembo di terra siciliana dove si respira musica e spiritualità.
A pochi metri dalla casa di Battiato, nella periferia di una contrada di un paese di ottocento abitanti, vivono Juri Camisasca e Rosario Di Bella, le due anime del disco “Spirituality”. Due artisti uniti da quella forma di empatia che si realizza solo attraverso la musica e la ricerca interiore. Di Bella, da molti anni compositore di colonne sonore “con una libreria di suoni in testa e negli hard disk”, ha ideato un disco “dalla struttura pop che all’interno offre un tempo dilatato e rilassato”. Juri Camisasca ha alternato la sua attività artistica a lunghi periodi di silenzio, a partire da quegli undici anni di vita monastica e due da eremita intorno al suo vulcano. E di questo e altro parla oggi, tra nuovi e vecchi loop da mettere in musica.

Juri, come si fa a conciliare la tensione verso il silenzio, l’isolamento, la fuga dal mondo, e il pubblico, i concerti, le case discografiche?
Quando fai delle cose che gli altri apprezzano, quando ti senti gratificato, ti ritrovi a fare selfie come se niente fosse. Ricordiamoci che nelle Sacre Scritture c’è scritto “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Da qualche anno, poi, in me è scattato un tale distacco da tutto, per cui stare qui dove vivo, circondato dagli alberi o su un palcoscenico, è la stessa cosa. E’ una grazia.

Cosa ti spinse alla vita monacale?
Juri Camisasca, Franco Battiato, Rosario Di Bella
Intorno ai vent'anni ero insoddisfatto, confuso, non mi chiedevo nemmeno cosa fosse la vita. Credevo di trovare una via di uscita attraverso la musica ma poi ho capito che non era così. In un momento di grande sconforto, improvvisamente, sono stato inondato da una luce che non è di questo mondo e che mi ha invaso con una pace che non è assolutamente descrivibile. Non si tratta di uno stato psicologico, ma di una sostanza penetrata nel mio cervello e nelle mie cellule. Per anni sono vissuto in questo stato, tanto che anche i miei amici non riuscivano a capire cosa mi fosse successo.

Quali differenze hai trovato tra la musica che amavi, il rock, e la musica sacra?
I canti gregoriani, la musica indiana hanno una forza ascensionale, hanno la capacità di elevare le tue capacità interiori. Questo non può avvenire con la musica rock perché colpisce altre fasce, parlo dei chakra. Gli indiani dicono che a seconda di come vengono stimolati questi centri che sono dentro di noi, tu vivi un’esperienza molto terrena, sensuale, oppure no. Se vieni colpito nei centri più alti, dal cuore alla gola al cervello, entri in contatto con energie più sottili. Sono musiche che superano l’individualismo, l’egocentrismo e ti elevano verso altre dimensioni. L’arte è una cosa e la qualità umana un’altra cosa, il canto gregoriano è un canto corale, le persone più sono interiormente pure, più il canto si fa elevante. Chi va a X-Factor o a Sanremo non pensa a queste cose, ma solo a mettere avanti la sua personalità. Un musicista indiano può avere una grande personalità, ma nel momento in cui suona un raga gli viene una specie di trascendimento del fattore egoistico.

Juri Camisasca in una foto anni '70
Però il rock ha le sue radici nel blues, nel gospel…
Certo, quando mi chiedono chi sia la mia cantante preferita io rispondo sempre Billie Holiday. Non aveva niente di spirituale, ma una sofferenza incredibile dentro di sé, mi tocca il cuore tutte le volte che la ascolto.

C’è qualche cantautore capace di emozionarti in questo modo?
Battiato ha raggiunto delle belle quote e non si può non citare Dylan, anche se è impastoiato con la politica. Ho amato tanto anche Donovan perché aveva un’anima molto serena e candida. I cantautori sono un po’ la salvezza nel campo musicale.

Perché?
Nel momento stesso in cui si mette a comporre dà più spazio alla sua verità interiore che non alla voglia di affermarsi, fare successo. Credo molto nella sincerità del cantautore.

Chi preferisci tra gli italiani?
Subsonica sono stati un buon gruppo, i Bluvertigo, i Nuclearte, un gruppo siciliano che ho scoperto recentemente. Capisco che i ragazzi oggi abbiano voglia di iniziare una carriera, però mi chiedo, la musica che spazio ha?

Nella musica e nella ricerca spirituale spesso si parte da un maestro. Franco Battiato lo è stato per te?
E’ l’amicizia che ci unisce più che il percorso spirituale. Franco per me è stato importante soprattutto agli inizi quando andavo a trovarlo a casa sua e me lo vedevo con il pianoforte smontato con ferri e mollette per cercare delle sonorità. E’ stato il primo in Italia ad utilizzare il Vcs per fare musica elettronica, mi affascinava. Per me è stata un’apertura verso un campo sonoro al quale non avevo pensato. Io facevo la canzone “chitarra e voce” e mi fermavo lì, non vedevo come rivestire il brano e nemmeno mi interessava. Per me la canzone era già completa in quella maniera. Abbiamo suonato tante volte insieme anche a casa sua, lui si metteva alla tastiera, facevamo delle improvvisazioni meditative, mantriche, in fondo il suono è solo un modo per entrare in te stesso. Franco è l’amico di una vita e ancora collaboriamo. Insieme abbiamo scritto un brano per l’ultimo disco di Biagio Antonacci, “Aria di cambiamento”. Nel campo spirituale invece ho due maestri: lo sri indiano Aurobindo e Santa Teresa d’Avila.

Non pensi che il concept di “Spirituality” costituisca una gabbia o una bibbia per i testi?
E' un concept con la stessa matrice spirituale, ma come disco non è facilmente catalogabile, avevo in mente le cose di Arvo Pärt, Terry Riley e Klaus Schulze e l’ultimo brano, ”Spirituality”, ha un chiaro riferimento alla cosmic music degli anni ‘70. Io ritengo che in questo disco il connubio testo-musica sia molto equilibrato, certo il suono di per sé colpisce direttamente i centri dell’anima, la musica non avrebbe bisogno del testo per comunicare qualcosa, poi magari una frase di un testo ti entra dentro e diventa il tuo mantra, te la ripeti durante la giornata, ma il suono ti colpisce nelle parti sottili della tua interiorità. Io e Rosario abbiamo volutamente escluso riferimenti politici o di natura polemica e ci siamo fatti guidare da quello che la canzone richiedeva e non riesco ad immaginare questi brani diversi da come sono. La tecnologia è importante per lavorare in questa direzione. Anche se il mio sogno rimane quello di fare un album solo chitarra e voce o piano e voce.

Hai già qualche nuovo lavoro in mente?
Sto per pubblicare il live degli ultimi due concerti, voce e armonium con Roberto Mazza all'oboe, che feci negli anni 70 nel teatrino della Villa Reale di Monza e alla Comuna Baires di Milano.

Dalla chitarra all’armonium, quando è avvenuto questo passaggio?
Si era formato un gruppo che si chiamava Il Telaio Magnetico, con Franco Battiato, Mino Di Martino, che suonava nei Giganti, Terra Di Benedetto, e c’ero pure io che cantavo col megafono.
Abitavo a Porta Ticinese a Milano, all'ultimo piano, nessun vicino, suonavo indisturbato a tutte le ore del giorno e della notte. Uscivo di casa solo perché insegnavo musica nelle scuole elementari di Milano 2. Un giorno vidi questo organetto a casa di Claudio Rocchi, ne aveva uno bianco. Anche lui abitava all’ultimo piano, in una casa bellissima, in viale Campania. Gli chiesi se poteva prestarmelo e così me lo lasciò per più di un anno. Rocchi è stato il primo in Italia ad iniziare un certo percorso, mi parlava di Lao Tse e di altre filosofie orientali di cui io non sapevo assolutamente nulla. E’ stato un grande e non ha avuto assolutamente quello che si meritava.




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Intervista pubblicata su "Cantautori" dicembre 2016




venerdì 18 novembre 2016

Campare d'aria
Peppe Voltarelli VS Otello Profazio



Al Carpino Folk Festival l’abbraccio più sincero. Durante l’esibizione di Peppe Voltarelli, Otello Profazio irrompe sulla scena e dichiara: “Devo ammettere che sei bravo. Sei uno dei pochi che riesce a coinvolgere il pubblico come faccio io, solo con la voce, la chitarra e il racconto delle storie”.
“Voltarelli canta Profazio”, ha vinto la targa Tenco 2016 per la sezione “Interpreti”, un progetto che ha radici profonde e che ha portato due artisti nati in provincia di Cosenza, lo stesso giorno, ma a trentatré anni di distanza, a condividere palchi e rassegne, dalla Calabria a Sanremo, dove quest'anno Profazio ha ritirato il Premio Tenco alla carriera.

Peppe Voltarelli, quando è avvenuto il tuo primo incontro con Otello, il più divo dei cantanti folk?
Alla fine degli anni Settanta. Mio padre l’aveva invitato a fare un concerto al Festival dell’Avanti di Crosia. Ero un bambino e Profazio un gigante, la voce della mia terra. Quando arrivai alle scuole medie, la mattina al bar c’era la Gazzetta del Sud con le sue “Profaziate”, una specie di editoriale in prima pagina da eminente “pensatore dello Stretto”. Al mercato sotto casa, sulla bancarella  di audiocassette, tra i successi del momento e qualche altro artista glocal da classifica, c’era sempre lui e la sua “Qua si campa d’aria”, il manifesto in musica di noi indipendenti, libertari, sfacciati, disperati, umili, essenziali, internazionalisti, naturisti, emigranti anche da fermi.

Otello come ha commentato la notizia del Tenco?
Mi ha mandato questo sms: “chissà se la Calabria ci perdonerà di aver vinto questo premio”.

Cos’è, un’altra “Profaziata”?
“Significa che quando fai una cosa buona dai sempre un po’ fastidio a qualcuno. E’ l’eterna paura dell’invidia, di trattenere le gioie nel timore di fare del male a un altro”.

Eppure, come scrivi nel libretto del cd : “Con i piedi nella terra, il canto dei lavoratori, il canto civile, l’amore, queste canzoni hanno dentro tutto l’essenziale per la pace”.
“Sono brani cha hanno tutto ciò che occorre per crescere, per diventare buoni cittadini e uomini migliori. Non sono fatte soltanto per intrattenere all’ascolto, ma per far muovere le idee. “Mafia e parrini” parla della connivenza tra Chiesa e malaffare,  è come una lancia acuminata, ti dice che puoi difenderti dal sopruso”.

Nella scelta dei brani, tra il Profazio più sagace e pungente e quello scanzonato-disimpegnato, hai privilegiato il primo. Stai pensando di ampliare il tuo omaggio con altre canzoni?
“Quando ci riferiamo alle canzoni politiche di Profazio, parliamo soprattutto del suo lavoro su Ignazio Buttitta. Era l’aria che respiravo in famiglia, papà portava a casa i giornali di partito, era abbonato a Stella Rossa. Così, mi sono posto nei confronti di Otello come uno studente di un movimento universitario che sceglie il suo Che Guevara: ho scelto il Profazio meridionalista e socialista. Nel tour italiano, invece, e da fine novembre, anche in Canada, Argentina e Stati Uniti, dedicherò  molto spazio anche al repertorio più leggero e più folk. Con me ci sarà Anna Corcione che cura la parte video dello spettacolo.

Di Profazio ti affascina anche la sua capacità di irretire il pubblico con piccoli artifici come il pizzicato che ricorda il movimento delle bici a scatto fisso o la “frullata della mano”. Puoi descriverci questa tecnica ?
“Immagina la tua mano quando butti il sale nella pasta e poi ti pulisci le dita, ecco lui le corde le tocca così. La sua impostazione è molto teatrale, stende il suo tappeto sonoro su cui, a intervalli regolari, poggia le strofe con pause, piccoli accenti, sussulti, tutto è funzionale alla narrazione. Non è un virtuoso, è un cantastorie.

Tre dischi di canzone d’autore da riscoprire?
Lungo i bordi (Massimo Volume), Le maschere infuocate (Alunni del Sole), Aria (Alan Sorrenti).


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Pubblicato su "Cantautori" novembre 2016

mercoledì 22 giugno 2016

Le quattro stagioni dell’Irpinia e il solstizio lucano di Vinicio Capossela

Il tour “Polvere” debutta il 23 giugno nell’ex cava Ricci di Pignola
"Antonio Infantino? Uno che mette la mano sul fuoco per descrivere il fuoco"






Il tour estivo di Vinicio Capossela partirà dalla “Polvere” di una cava, una terrazza scavata sui monti di Pignola, in Lucania, la regione più folk e magica d’Italia, come scriveva, oltre sessant’anni fa, Ernesto de Martino. Lo scenario ideale per un disco d’Appennino, che Capossela ha concepito a Calitri, il paese dove è nato suo padre Vito, canzoni “sponzate” in un immaginario rurale, mitico, mitologico, ancestrale, quello dell’alta Irpinia, che si accoppia paesaggisticamente e culturalmente (complice il letto del fiume Ofanto), con la vicina Lucania.
Si chiama “Canzoni della cupa” e non poteva non contenere il timbro potente e ruvido dello strumento lucano più emblematico e onomatopeico, il cupa-cupa di Antonio Infantino e del suo inseparabile Agostino “Agotrance” Cortese.

L’album “Canzoni della cupa” offre due dorsi, due lati diversi, come il nostro Paese tagliato, o meglio, cucito dalla dorsale appenninica. Paesi dell’Italia interna che offrono una faccia all’ombra e un’altra al sole e che hanno un aspetto diverso a seconda che siano accecati dalla luce o baciati dalla luna, con due letture diverse del folk, una più rassicurante, l'altra decisamente meno.

Nel lato “Polvere”, Capossela reinterpreta canti di tradizione e brani di cantautori del Sud, primo fra tutti, Matteo Salvatore, registrati in parte tredici anni fa e completati tra i vicoli del paese d’origine; nel secondo “Ombra”,  la frontiera del lupo, le vallate irpino-lucane si fondono con la frontiera tex-mex di Flaco Jimenez, quella dei Calexico del deserto di Tucson, fino a quella dei Los Lobos, in composizioni originali nate dalla sua appassionata frequentazione delle musiche e dei musicisti di tradizione.

L'album è uscito anche in versione vinile in quattro LP, a rafforzare l’importanza del disco come creatura musicale da custodire, un formato che fa venire subito alla mente l’opera più importante di Matteo Salvatore, “Le quattro stagioni del Gargano”, pubblicata a metà degli anni Settanta in quattro dischi a 33 giri. In un anno, dopo un libro, un film e due cd, il cerchio si chiude a Pignola, dove questo ciclo si era aperto nel 2003.

C’è un legame forte tra la Lucania e Matteo Salvatore che alla fine degli anni Settanta, dopo le sue vicende giudiziarie, fu ospitato da amici come il poeta Vito Riviello e il cantautore Pietro Basentini per una serie di trasmissioni radiofoniche registrate nella sede regionale della Rai e il tema della ciclicità delle stagioni torna anche nel giorno prescelto per la data zero del tour,  il 23 giugno, la notte di San Giovanni, quella che Shakespeare ha chiamato “sogno di una notte di mezza estate”.
Un’altra citazione lucana, anche in questo caso involontaria, si ritrova, infine, nei titoli scelti per i due lati di “Canzoni della cupa”, ancora una volta a indicare il mutare delle stagioni: “Pulvus et umbra sumus” era, infatti, un verso di un’ode del poeta latino Orazio, nato a Venosa.

A poche ore dal debutto lucano del tour, nell’ambito del festival “Percorsi diversi” organizzato dalla Compagnia della Varroccia, nel pomeriggio di sole e di prove, Capossela condivide su facebook: “Siamo sinceramente ammirati da quanto hanno messo in piedi i ragazzi di Pignola per il prossimo concerto d'apertura delle “Canzoni della Cupa”. Non è solo un allestimento, è un set cinematografico! Un western metafisico! In una cava disposta come gli antichi greci disponevano i loro anfiteatri, su un infinito fatto di monti ondulanti e nuvole in viaggio”.

Lo stesso entusiasmo contagioso dei “Portatori del Santo”, i ragazzi della festa patronale in onore di San Gerardo (prutettor d’ Putenza generale…) incontrati al Potenza Folk Festival, proprio in occasione dell'annuncio di questo tour, che gli fa dire: “Vorrei invitare chiunque abbia in mente e in cuore di aprire un’impresa a delocalizzarla nei nostri paesi dell'Italia interna (anziché a Taiwan o in Bulgaria), dove si trova il sostegno di quel fattore umano capace da solo di smuovere le montagne. Figuriamoci se fosse aiutato.”

Proprio in quell'occasione, a Potenza, Capossela ha risposto ad alcune domande sullo spirito lucano che in qualche modo lo attrae e confluisce nella sua ricerca.

Ripartiamo dal titolo che da queste parti fa pensare alla percussione sdoganata anni fa dai tarantolati di Antonio Infantino. Perché “Canzoni della cupa”?

“Si chiama così perché nel paese di Calitri, come in moltissimi altri paesi dell’Italia interna, c'è una contrada che si chiama cupa, dove batte poco il sole, territorio delle leggende, dei racconti, delle cose che non si capiscono bene. A Calitri, in particolare, si dice che, tra la paglia del fieno alto, si nascondesse la “creatura della cupa”, una neonata ritrovata da un contadino, attirato dal suo pianto, in una notte di pioggia. La leggenda racconta che quest’uomo nel tentativo di sollevarla, perché troppo pesante, si accorse che la piccola aveva le sembianze di un demone, di una creatura del mondo magico, come diceva de Martino. In paese è diventato un modo di dire per indicare chi è basso di statura e pesa molto, un po’ come tutte le mie zie che non superano il metro e sessanta di altezza, ma non si riescono ad alzare da terra. Sono in qualche modo anche loro creature della cupa, e lo è anche questo doppio cd che è un disco di alto peso specifico”.

Cosa ti piace di questi luoghi e cosa ti porta così spesso a sconfinare in Basilicata?

"Sicuramente l’attrazione per tutta l’opera di studiosi come De Martino e Carlo Levi. Quando, nel 2003, ho cominciato a lavorare alle canzoni di questo disco, fu proprio Infantino a suggerirmi di andare a Pignola perché c’era un gruppo che faceva ancora musica popolare con il cupa cupa e gli strumenti della tradizione. All’epoca avevo ascoltato soprattutto i dischi del leggendario Gino Volpe. C’era una tarantella lucana formidabile che ascoltava mio padre con un forsennato comando di quadriglia che finiva così: “evviva il Meridione, evviva la Lucania, evviva Potenza”, andando a stringere gradualmente l'obiettivo e tu già sapevi dove andava a parare".

Perché questo cerchio si chiude ora, dopo tredici anni?

"Credo che ci siano delle cose a cui bisogna dare del tempo, perché ingigantiscono dentro di noi, soprattutto se attingono alla stessa materia della terra e quindi delle stagioni. Questo vuol dire che l’estate torna tutte le estati, la notte di San Giovanni c’è tutti gli anni, è un tempo ciclico dove in realtà il tempo non passa. In “Canzoni della Cupa” si parla di quello che non è bene in vista, ma che è un’ombra che sta riparata, nascosta. Sono delle cose a cui bisogna dare fede e tempo. E’ un lungo lavoro che è stato fatto non solo per questo disco, ma anche per il libro che si chiama “Il paese dei coppoloni”. Carlo Levi, quando studiava il mondo dei contadini, parlava “del tempo ciclico”, dove le cose sono quasi immobili. E’ una dimensione legata alla poesia, al mito, ma noi viviamo in una dimensione diversa che è quella che lui chiamava “Civiltà dell’orologio”.
Questo tempo immobile me lo sono conservato a lungo perché mi piace molto starci dentro."

Dopo Matteo Salvatore, ti sei avvicinato ed hai frequentato artisticamente altre due figure di grande fascino e carisma musicale, il già citato Infantino ed Enzo Del Re. Puoi descriverceli nella loro unicità?
"Mi fa piacere ricordare queste figure perché sono conosciute molto meno di quanto meriti la loro arte. Matteo Salvatore è stato il più grande cantore dello sfruttamento e della disuguaglianza e della fame soprattutto nel mondo del latifondo meridionale dal fascismo fino agli anni ’50. Un trovatore che ha cantato nella lingua del paese da cui veniva, una lingua molto aspra come le cave di pietra di Apricena, che io personalmente ho scoperto all’estero. Un musicista francese mi ha fatto ascoltare per la prima volta un disco del grande Matteo Salvatore, “Il lamento del mendicante”. L’ho conosciuto negli ultimi anni della sua vita e aveva lo sguardo della faina, era un cantastorie popolare che ha messo dentro di sé tutta l’arguzia la furberia, la prontezza di spirito di questo tipo di cultura.
Enzo Del Re era un intellettuale, un anarchico, o, come l’ha definito Giovanna Marini, “un santo” per la sua integrità e per la sua mono-tonicità della dottrina marxista più schierata e più pura. Ha fatto canzoni meravigliose accompagnandosi solo con il rumore di una sedia perché voleva trasformare la sedia elettrica che aveva ucciso Sacco e Vanzetti in uno strumento di vita e di musica e si definiva oggettista-corpofonista.
Un anno dopo la sua morte, a Mola di Bari nella serata organizzata in suo onore, sono rimasto stordito dalla “potenza di fuoco” di Antonio Infantino e dai suoi ragazzi di Tricarico che suonavano “Avola”. Non ho mai sentito raccontare la storia di uno sciopero che finisce con i morti ammazzati dalle forze dell’ordine, così, senza nessuna retorica, ma con quella potenza di una cronaca diretta, di uno che mette la mano sul fuoco per descrivere il fuoco. Infantino è una specie di sciamano-profeta, un ottimo osservatore con cui si può parlare di architettura, di energia del cosmo, della Tricarico di Rocco Scotellaro, di tarantolati, di anni ‘70, di quella stagione di grandi innovazione sulle radici della tradizione.


Timisoara Pinto

venerdì 11 marzo 2016

Lavorare con lentezza. Enzo Del Re, il corpofonista: presentazioni


18 agosto 2016
Cantinando
Premio "Le Cantine di Pasolini"
Parco Urbano delle cantine
ore 10



8 agosto 2016
Carpino Folk Festival
21.30

Largo San Nicola - centro storico / Carpino (FG)
"Coltivare la musica è nutrire l'anima. L'Italia cantata dal Sud": Matteo Salvatore, Enzo Del Re, Otello Profazio e Antonio Infantino.


Con Otello Profazio, Antonio Infantino, Peppe Voltarelli, Andrea Satta, Angelo Pelini, Timisoara Pinto, Giovanni Rinaldi, Mimmo Ferraro, Maurizio Agamennone, Salvatore Villani.
5 agosto 2016
La Scola Borgo, Grizzana Morandi (BO)
Sassi Scritti - L'importanza di essere piccoli - poesia e musica nei borghi dell'Appennino
ore 18.30



Sabato 9 aprile 2016
Libreria Modo Infoshop
Bologna
via Mascarella 24/b
ore 18.30




Venerdì 25 marzo 2016  
Dago Red
Sant'Arsenio (SA)
via Annunziata 160
ore 19
con Arsenio D'Amato Pignataro, Andrea Satta






Giovedì 24 marzo 2016
Letti di Sera
Potenza (PZ)
Cibò, piazza della Costituzione italiana
ore 21
con Paolo Albano, Vania Cauzillo, Antonio Infantino, Agostino Cortese, Andrea Satta




sabato 14 novembre 2015
Di Canti e di Storie
Santo Stefano di Rogliano (CS)
Palazzo Parisio
ore 17
con Maurizio Agamennone, Dario Brunori, Alessio Lega, Andrea Satta


sabato 31 luglio 2015
Notte di Suoni, Parole, Visioni
Ciciliano (RM)
Castello Theodoli
ore 21.30
con Alberto Marchetti, Andrea Satta e Carlo Amato (Tetes de Bois)

sabato 25 luglio 2015
Festambiente Sud
Monte Sant'Angelo (FG)
Piazza De Galganis
ore 21
con Tonino Zurlo, Andrea Satta, Angelo Amoroso D'Aragona





domenica 14 giugno 2015 
STRADAROLO
Zagarolo, piazzetta Agostini
con Tonino Zurlo, Alessio Lega e altri ospiti :)




venerdì 15 maggio 2015
Roma, Auditorium Parco della Musica
Sala degli strumenti musicali
ore 18
con Anna Maria Piccoli, Toni Jop
Andrea Satta e Carlo Amato (Tetes de Bois)
Peppe Voltarelli
e il coro del Gianni Bosio diretto da Oretta Orengo e Piero Brega







venerdì 8 maggio 2015
Genova, Teatro La Claque
ore 19
con Guido Festinese


domenica 12 aprile 2015
Maranola (LT)
"Alberi di Canto. Festival di Frutti e Voci Dimenticate"
villa comunale, ore 17





domenica 15 marzo 2015
Fosdinovo (MS)
Circolo Archivi della Resistenza
con Paolo Ciarchi e Marco Rovelli


domenica 17 gennaio 2015
Torino
Folkclub, ore 13

con Jacopo Tomatis
Cato & Bunna (Africa Unite)
Tetes de Bois

venerdì 20 febbraio 2015
Roma
Casa della memoria e della storia ore 18
con Alessandro Portelli
Elisabetta Malantrucco
Rudi Assuntino
Luca De Nuzzo




domenica 4 gennaio 2015
Verona
Feltrinelli ore 11.30
"Due anarchici della musica"
presentazione di "Ferré e gli altri" a cura di Enrico de Angelis e di "Lavorare con lentezza. Enzo Del Re, il corpofonista" di Timisoara Pinto
Con gli autori interverranno:
Lea Tommasi
Margherita Zorzi
Tetes de Bois

sabato 3 gennaio 2015
Trento
Circolo Arci Punto8
presentazione del libro in occasione della serata per il vent'anni del Coro Bella Ciao
Luciana Chini
Anna Maria Piccoli
Sergio Staino





lunedì 8 dicembre 2014
Roma
Teatro Anfitrione ore 21
presentazione del libro ed esibizioni dal vivo, con:
Teresa De Sio
Antobio Infantino
Giovanna Marini
David Riondino
Luca De Nuzzo
Andrea Satta & Carlo Amato
introduce: Mimmo Ferraro










domenica 30 novembre 2014
Pisa
Aula proiezioni Casa dello Studente “Fascetti”, Piazza dei Cavalieri, 6
ore 18.30
presentazione del libro ed esibizioni dal vivo, con:
Timisoara Pinto, autrice del libro
Antonio Infantino, musicista
Andrea Satta, musicista, cantautore (Têtes de Bois)
Piero Nissim, musicista, cantautore






domenica 16 novembre 2014
Milano
ore 13.00
Pranzo popolare con
Enrico De Angelis
Sergio Martin
Isabella e Paolo Ciarchi
Andrea Labanca
Massimo de Vita
Têtes de Bois > Carta Bianca Extra < a M^C^O #NowHere







domenica 9 novembre 2014
San Cesareo (RM)
“Contesti Diversi” - Fiera della piccola e media editoria dei castelli romani e prenestini promossa dal Sistema Bibliotecario Prenestino gestione associata della Comunità Montana Castelli Romani
Ospite: Andrea Satta




Venerdì 31 ottobre 2014
Mola di Bari
Castello Angioino, ore 20
presenta: Annamaria Minunno

sabato 1 novembre 2014
Bari
Fiera del Levante, Spazio 6, Medimex, Bari, ore 10:30
con Tonino Zurlo, Radicanto, Annella Andriani, Aquasumarte
presenta: Ciro De Rosa




2 ottobre 2014
Premio Tenco, Casinò di Sanremo, ore 17,15
con Enrico de Angelis, Sergio Secondiano Sacchi

Sabato 23 agosto 2014
Aliano
Anteprima del libro
Auditorium, ore 18
Con Antonio Infantino e Andrea Satta