giovedì 22 ottobre 2015

Cesare Basile e la favola del lavoro



"Tu prenditi l'amore che vuoi e non chiederlo più" è una lunga marcia contro un'Italia marcia. E' il passo inquieto di Basile, Cesare Basile, che usa la favola di Orazio Strano, il padre dei cantastorie siciliani, per adunare come fa il banditore quell'umanità che va avanti, per dirla alla De Andrè, in direzione ostinata e contraria.

Il “cuntaro” siciliano, con l'incedere folk e blues della band dei suoi “caminanti”, mette in musica i personaggi archetipi dell'infanzia per fronteggiare le contraddizioni di oggi. Cantante con la voce che incanta e autore che sa illustrare il suo canto: “allesti cunti si non voi 'n patruni” dice Basile nella canzone manifesto che apre il disco, un omaggio a coloro che hanno scelto di vivere una vita orgogliosa, personale, unica, raccontando le cose agli altri, “una maniera di sottrarsi a una dinamica produzione-consumo tipica dei nostri giorni, al lavoro come religione, fatto passare come requisito necessario per stare al mondo, per essere rispettati”.

“Araziu Stranu” è come Ciccio Busacca, bracciante e muratore, o come Muddy Waters, raccoglitore nei campi di cotone dei bianchi. Quando Alan Lomax gli chiese perché suonasse la chitarra, il bluesman di Chicago rispose: “perché voglio andar via dalla piantagione, non lavorare più”. “Libertà mi fa schifo se alleva miseria” è forse il verso che condensa al meglio la morale della storia, la chitarra di Basile, il suo rosario, è una fionda: “una persona che lavora viene sequestrata in cambio di un salario che non gli lascia niente, non gli dà il tempo di vivere, di crescere, e nemmeno il tempo di lavorare per se stesso”.

Il cd a tinte forti di Basile convince di nuovo, a distanza di due anni, la giuria delle Targhe Tenco, ma questa volta, dopo una serie di avvenimenti legati alla Siae e ai suoi protagonisti, il cantautore catanese ritirerà il suo premio, a dimostrazione che la coerenza premia anche nella musica e il tempo è un grande autore.

da "Il cantautore" Numero unico del Club Tenco Sanremo 2015

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sabato 17 ottobre 2015

Cantando tutti in coro con Guido De Maria

Premio Tenco 2015 al Re dei "dopocenisti" e del fumetto in tv



Dopo gli anni goliardico-gucciniani e le bisbocce in compagnia del suo pirata preferito, il momento è solenne: il disegnatore Guido De Maria ritirerà sul palco dell'Ariston a Sanremo, il Premio Tenco 2015 all'operatore culturale.
Il disegnatore e autore Guido De Maria

83 anni, veloce e vispo come i nanetti che ha disegnato per la pubblicità, accenna al telefono “Loacker che bontà” per dirmi che l'azienda del wafer delle Dolomiti è ancora il suo cliente più importante. “I piatti-ti-ti, i piatti-ti-ti...con Nelsen piatti li vuol lavare lui” gli rispondo io in un susseguirsi di citazioni, e Guido mi dice “anche quella è mia”, ma subito aggiunge “I testi, per la precisione. Le musiche erano di quel genialaccio di Franco Godi, il più grande jingolista italiano”.

Francesco Guccini, Giancarlo Roversi, Bonvi
Nell'edizione della rassegna della canzone d'autore dedicata al suo amico di sempre, Francesco Guccini, uno dei premi più importanti è un riconoscimento alle origini stesse della manifestazione e ai “tre matti che hanno contribuito a costruire le fondamenta umane del Club”. Il trio (uno tra i tanti, a dire il vero, che cantando-mangiando-bevendo animavano la rassegna) era composto da De Maria, Guccini e Franco Bonvicini detto Bonvi, il disegnatore scomparso nel '95. Un sodalizio nato quando i bambini andavano a letto dopo Carosello. Insieme crearono Salomone, pirata pacioccone con Guccini autore e sceneggiatore per l'Amarena Fabbri e all'occorrenza anche comparsa. “Lo chiamavo a recitare nei caroselli, per quei famosi trenta secondi che oggi sono diventati la pubblicità. Ma lui sostiene che era solo un modo perché venisse anche Roberta, la sua prima moglie, una ragazza molto bella, alta, appariscente con un viso da primo piano, mentre lui sfilava lontano, sul fondo”. 
L'incontro con Francesco avviene però anni prima. “Mi avevano parlato di un ragazzo che suonava in un locale di Bologna chiamato La grondaia. Una sera tentai di registrare una canzone, ma ad un certo punto cominciai a fargli dei gesti, a dirgli di scandire meglio le parole perché non si capiva niente. Cantava in modo molto chiuso, tutto rivolto verso di sè, ed io dal pubblico a dirgli “più chiaro, non riesco a registrare”. Ad un certo punto, lui smette di cantare, sento gli occhi degli altri avventori che mi guardano con disprezzo e Francesco, allora sì con voce chiarissima: “c'è qualcuno che mi toglie di torno questo rompicoglioni?” Fu naturalmente l'inizio di una grande amicizia.

“Formammo gli Archibusti – continua De Maria - , un gruppo di cabaret in cui Guccini aveva la funzione di fare le canzoncine per collegare i vari quadri, con quella erre malconcia mica poteva parlare, poteva solo cantare. Il cantautore, ecco cosa doveva diventare, e il mio unico scopo era non farlo laureare, ma lui voleva fare il professore. Un giorno mi chiama stupito perché aveva ricevuto la convocazione per l'esame alla Siae, ma non aveva mai inviato la richiesta. Per forza, gli risposi, l'ho mandata io!” Anche De Maria (che per Guccini era come un fratello maggiore di otto anni) aveva abbandonato un futuro da matematico e fisico per darsi alla passione che ora gli vale il Premio Tenco: il fumetto. “Operatore può anche andar bene, è culturale che mi preoccupa. Tra me e la cultura c'è un dissidio che va avanti da mezzo secolo”. 

Gli Archibusti di Francesco e Guido si esibivano al Ginko BiloBar di Bologna nel '65, ma il trambusto durò solo una stagione. “Ci offrirono persino di fare la traversata inaugurale di un nave della marina commerciale, non ricordo se la Michelangelo o la Raffaello. Alla fine ognuno di noi aveva i suoi impegni e ci sciogliemmo, ma l'esperienza degli Archibusti in qualche modo è confluita in alcune canzoni dell'album Opera buffa”. Mentre Francesco diventa Guccini con l'album della consacrazione “Radici”, Guido inventa un adattamento spiritoso di un detective noto come Nick Carter e lo porta in tv. Nasce un format televisivo, Gulp! e poi SuperGulp!, con strisce e nuvolette parlanti  interpretate da eccelsi doppiatori.

 

Figlio del veterinario condotto di Lama Mocogno, paesino ridente del modenese, arroccato a 900 metri sulla strada che porta al monte Cimone, dopo aver prodotto con la sua Vimder Film migliaia di Caroselli, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia come testimoni di nozze, suonatore di ocarina e cabarettista da crociera mancato, Guido De Maria va a ricordarsi di un vecchio baule in soffitta che conteneva alcune raccolte di gialli che leggeva il suo papà. La Rai, attraverso il responsabile dei progetti speciali Giancarlo Governi (sua l'idea di portare i fumetti in tv), chiese a lui, a Bruno Bozzetto e Paul Campani di scegliere tra Joe Petrosino e Nick Carter. “Campani fece Petrosino, Bozzetto il signor Rossi, ma tutti e due non riuscirono a liberarsi del loro specifico di grandi animatori, quindi venne fuori un prodotto ibrido tra cartone, fumetto e balloon. Io fui rispettoso del fumetto, facendo apparire le nuvolette sulle teste dei personaggi in sincrono con l'audio. Una stupidaggine, ma costrinse i telespettatori a leggere le battute”.
Se oggi il suo detective sarebbe sempre newyorkese non lo sa, ma di certo non si chiamerebbe Joe Petrosino: “perché avevo il timore di confrontarmi con un personaggio realmente esistito. Il caso volle che ritrovai questa collezione di gialli di mio padre, libriccini di 32 pagine, usciti per i tipi della Nerbini. Oltre a Nick Carter, che peraltro come personaggio letterario nasce nel 1886 dalla penna dell'americano John Russell Coriell, c'erano le storie di Buffallo Bill, Fantomas, Arsenio Lupin. All'interno del fumetto c'erano dei personaggi che si potevano proporre in maniera facile e divertente. Dissi allora a Bonvi: devi farlo alla maniera di Dick Tracy. Quel fumetto sembrava un film stampato, il racconto era di una perfezione cinematografica, con i campi lunghi, i dettagli, le angolazioni, i controcampi, insomma bastava riprendere vignetta per vignetta e ne veniva fuori un film. Nel giro di una settimana, Bonvi mi diede settantasei disegni con cui realizzai il prototipo di Nick Carter, il numero zero”.


In mezzo, però, c'era sempre il Tenco e da tempi non sospetti, quando la nascita del Dopotenco anticipò addirittura quella della rassegna vera e propria. Intorno a quelle cene che poi diventarono un rito irrinunciabile del dopo-serata, nacquero i discorsi, le strofe, i sogni e tra uno gnocco fritto e un prosit, i culturali propositi. “Al Tenco ero uno dei dopocenisti più assidui. Nei primi anni ci ritrovavamo al Pipistrello, una specie di cave parigina proprio davanti all'Ariston e divertivo il pubblico di queste cene con le mie invenzioni e stravaganze.
Il nostro capo clan era Carlin di Bra, non era ancora il Carlin di Slow Food ma lavorava per l'Arcigola, un ente che promuoveva prodotti delle Langhe. Il trio Carlin, Giovanni e Azio, un personaggio che non era alto più di un metro e trenta, era un'istituzione al Tenco, come il duo delle sorelle Nete, due vecchine tutte imbellettate con i pomellini rossi sulle guance, con chitarra e banjo, poi portate in televisione da Arbore”.
Tra le stravaganze di Guido De Maria possiamo probabilmente annoverare quella del già citato gnocco fritto. “Non lo gnocco fritto, avverte il disegnatore-fumettista, nonché abile cuoco – se lo chiami così non si digerisce. Si deve dire il gnocco fritto, alla faccia di tutta la grammatica italiana. E' una crescentina che si mangia insieme all'affettato. Io sono un maestro del gnocco fritto. Un anno, sarà stato l'85 o giù di lì, affittai per una mattinata intera il bar di fronte al Casinò di Sanremo, impastai quindici chili di gnocco, avevo portato le padelle da casa, impegnai tutte le mogli dei soci del Club per friggere e distribuire a tutti la mia specialità”.

Dopocenisti al Tenco: le Sorelle Nete con Amilcare Rambaldi e Carlo Petrini
Alle loro spalle: Giovanni Ravinale e Azio Citi del Trio di Bra
Un tenchiano della prima ora, come Guccini e come un altro decano del Club che quest'anno tornerà sul palco, Roberto Vecchioni. “Ma sai che a casa mia ho il suo biliardo? Un giorno mi chiama Roberto e mi dice: “mi nasce un altro figlio, non so dove mettere il biliardo. Proprio due mesi fa ho rimesso a posto il panno ed è più nuovo di quanto non fosse quando l'ho preso”.
Guido De Maria è come una striscia che finisce avvisandoti: “continua nel prossimo episodio” perché potrebbe non smettere mai di raccontare, ma la domanda arriva secca: che differenza c'è tra la canzone e il fumetto? “Il fumetto è una sintesi straordinaria”, anche la canzone dico io. “il fumetto è la sintesi immediata di pura fantasia o di qualcosa che fa parte del quotidiano”, più o meno come la canzone ribatto. “E poi doveva far ridere. La canzone poteva anche non far ridere”. Insomma non si possono paragonare. “Se parliamo di una canzone di Guccini, vale 800 vignette. Le canzoni di Francesco io le paragono alle storie di grandi illustratori come Hugo Pratt o di uno Staino quando disegna delle storie a seguire. I miei disegni erano più banali, meno colti. Pratt con i suoi racconti di straordinario respiro è come Melville per la letteratura”.

Tra i disegnatori giovani c'è qualcuno che ha attirato la sua attenzione? “Zerocalcare mi piace molto, nel suo modo di rendere il segno mi ricorda Andrea Pazienza. Una volta Pazienza mi disse: “io posso disegnare tutto”. La ritenni una dichiarazione un po' presuntuosa, poi quando ho avuto il tempo di conoscere meglio tutto quello che aveva fatto, purtroppo quando non c'era più, pur avendolo frequentato tanto quando era in vita, ho capito veramente il valore di questa sua affermazione. Anche Zerocalcare ha questa capacità di disegnare come vuole, quando vuole tutto quello che vuole”
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E il papà di voi tutti,  del fumetto in Italia chi è? “Benito Jacovitti, il più grande, un mostro di bravura. Purtroppo, il fatto di essere vissuto in una latitudine che lo ha costretto a lavorare in Italia, chiuso in una dimensione legata all'Azione Cattolica, gli ha impedito di diventare il più importante disegnatore di tutti i tempi in tutto il mondo. Basti pensare che disegnava senza avere la traccia di matita sotto, usava direttamente la penna con un tratto prima sottilissimo che ingrossava via via. Non faceva altro che ricopiare un disegno che aveva in testa e che proiettava idealmente su un foglio bianco. A 17 anni disegna Cin Cin, un'opera immensa, due anni dopo fa il primo Pinocchio che è il più bello di tutti quelli che ha fatto dopo. Scusa, ma quando parlo di Jacovitti vado fuori di testa. Giancarlo Governi ed io siamo riusciti a fargli assegnare lo Yellow Kid a Lucca pur avendo contro una buona parte della giuria perché era considerato uno di destra, ma invece la sai una cosa? Una volta Jacovitti mi mostra un disegno e mi chiede: cosa c'è scritto su quel muro? Ed io: “niente”. “Segui quella crepa” e mi indica con la punta della matita tra fessure, tratti e disegni che c'erano su quel muro, la scritta “Abbasso il Papa”, questo per dirti quanto fosse anticonformista.

Resta alla fine un solo dubbio, se le donne erano più conquistate dalle canzoni tristi (si fa per dire) di Guccini o dalla voglia di De Maria di farle ridere? “Ti rispondo così: se Francesco dice che ha imparato a suonare la chitarra perché così cuccava, io ho cominciato a disegnare per far sorridere i miei compagni di scuola”.



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