giovedì 20 novembre 2014

Cercavi giustizia, ma trovasti la legge...

Michelino, Silvestro e Brioche: un racconto che non cade in prescrizione



Pareti, lastre piane, coperture ondulate, rivestimento tetti, pannelli, pannelli isolanti, ceramiche, supporto piastrelle, pavimentazione tubi, isolamento termico, caldaie, cemento per manto di copertura, cemento per forni, intonaci e stucchi, pitture, vernici, asbesto spray per isolamento acustico, isolamento termico per pareti, pavimenti, materassi, guaine materiale elettrico, condotte per fognature, strato di fondo carrozzerie autoveicoli, tessuti, nastri, guarnizioni di freni, dischi frizione, filtri per maschere antigas, guarnizioni ad anello, tubi, stoppini, funi, spago, filo da cucire, rivestimento conduttori elettrici, rivestimento di cavi, materassi, indumenti, guanti, grembiali, drappeggi tappezzerie, coperture, sacchi postali, tende, tappeti, sipari teatrali, scenari teatrali e rivestimenti pavimento in teatri, trattamenti acustici, filtri, rivestimenti, imbottiture, attrezzature mediche, protezioni antifiamma, sacchi di sabbia, nastri trasportatori, accessori per velivoli, tovaglie per tavoli da stiro, imbottiture pianoforti, avvolgimento bobine, coibentazioni per tetti, guarnizioni, stoppini, tubi, rivestimenti stufe, condotti di scarico per automobili, teglie per forni, imbottiture e stuoie da tavola, condutture d'aria, caloriferi, casseforti, cabine di proiezione cinematografica, macchine lavaggio a secco, inceneritori rifiuti, forni, pareti tagliafiamma, soffittature, guarnizioni, porte antifiamma, stuoie da tavola, tubi per condutture acqua, fognature, condutture gas, portalampade, parti di commutatori, montature resistenti ed altri usi per materiale elettrico come isolamenti sotterranei e pavimenti, vari impieghi in materie plastiche… 


Le famigerate onduline di eternit sono solo un aspetto del problema: l’amianto è stato utilizzato soprattutto negli anni ’50 e ’60 nella realizzazione di oltre 3000 prodotti industriali.

Arriva nel 1992 la legge 257 che, con un ritardo criminale, ha messo al bando la fibra killer (vietandone l’estrazione, l’uso e la commercializzazione) e ha tentato di imporre la bonifica di ogni luogo in cui fosse presente.

Sono passati altri anni e altre sentenze, ma tale risanamento è ben lungi dall’essere completato (nella migliore delle ipotesi) o avviato del tutto (nella maggior parte dei casi). 
Una fibra assassina capace di appostarsi nei polmoni e premeditare il suo agguato per 20, 30, 40 anni. Amianto, detto anche asbesto, il  “miglior termodispersore al mondo”… In sé non è pericoloso: lo diventa quando si usura e le piccolissime particelle di cui è composto si disperdono e vengono inalate. Allora vanno a concentrarsi nei bronchi, negli alveoli polmonari e nella pleura e provocano il mesotelioma pleurico, il tumore causato esclusivamente da inalazione di microfibre di amianto. Che dire poi del carcinoma laringeo e dell’asbestosi, il primo stadio della malattia che comporta gravi minorazioni cardiocircolatorie. 

La cronologia è prodiga di dettagli. Nel 1915 vengono messe in commercio le famose fioriere in Eternit, così è chiamata la fibra “eterna”, in un impeto futurista dall’austriaco che l’ha brevettata.
Nel 1928 inizia la produzione di tubi in fibrocemento, che fino agli anni '70 rappresenteranno lo standard nella costruzione di acquedotti. Nel 1933 fanno la loro comparsa le lastre ondulate, in seguito usate spesso per tetti e capannoni. Negli anni ‘40 e ‘50 l'eternit trova impiego in parecchi oggetti di uso quotidiano. Il più famoso è probabilmente la sedia da spiaggia di Willy Guhl. Sai che giovamento anche sotto il sole. E così via, fino a raggiungere i famigerati 3000 prodotti industriali. Realizzati non solo a Bari, ma anche alla Eternit di Casale Monferrato (la più grande d’Italia), di Cavagnolo, di Bagnoli e di Rubiera, alla Sacelit di San Filippo del Mela in Sicilia, a Senigallia, alla Italcementi di Trento, e nella vicina Molina di Ledro, alla Cemamit di Fermentino, i Nuovi Cantieri Apuani di Marina di Massa, a Monfalcone, a Reggio Emilia e alla Breda di Sesto San Giovanni, solo per citarne alcuni… 


Più volte, nel tempo, gli operai hanno protestato per la mancanza di respiratori, per lo spazio angusto e nocivo, per il rumore assordante. Solo costi aggiuntivi e una conseguente perdita di competitività, figuriamoci.  


Dei danni provocati dall'amianto si parla già nel 1898, ma l’allarme viene naturalmente ignorato. E’ solo intorno al 1960 che la comunità scientifica riconosce che il materiale può provocare il cancro. 
Nel 1911 partono i test sui topi. Nel 1917 le autorità inglesi si limitano a raccomandare di areare i locali. Nel 1932 i sindacati lanciano il primo serio allarme. 
Tra il 1955 e il 1960 vengono pubblicati gli studi di Doll, Sleggs e Wagner sulle connessioni tra cancro e amianto. Nel 1986 l’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul cancro dichiara che tutti i tipi di amianto sono cancerogeni e, pertanto, non esistono soglie di sicurezza per chi vi si espone. Pensate che fino alla fine degli anni ’80, l’Italia è stata il secondo paese produttore di amianto in Europa, dopo l’Unione Sovietica. 


Giugno 2007: siamo a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, la città operaia delle grandi fabbriche come la Breda, la Marelli, la Falck. 

Il francese Pierre George nei suoi studi di geografia umana e sociale cita Sesto come esempio di "banlieue renversee (periferia rovesciata). Una periferia dove la gente non tornava a dormire ma veniva a lavorare. 42.000 operai stanchi e assonnati nel periodo più frenetico.

Michele Michelino
Il profilo di Lenin e il famoso primo piano del Che con sigaro, nella foto di Renè Burri del ’63, ci accolgono nel Centro di iniziativa proletaria “G. Tagarelli”. Dicono che siamo in provincia di Milano, ma è Milano, il suo cosiddetto hinterland, dalla stazione si arriva in tram. 

Giovambattista Tagarelli lavorava alla Breda, reparto aste leggere (aste trivellatrici per la ricerca del petrolio). Era l’unico reparto in Italia dove si utilizzava il metodo di saldatura detto “a scintillio”. 

La saldatrice arrivò dagli Stati Uniti già con una pessima fama. La macchina era coperta da un telo d’amianto per raffreddare i pezzi e al tempo stesso riparare l’operaio. In realtà il telo si surriscaldava e l’addetto lo respirava. 

Di 26 tute blu che hanno lavorato alle “aste” tra il 1973 e il 1989, 9 i sopravvissuti… Tagarelli è morto nel 1999. La Breda Fucine, fondata nel 1886 col nome E.Breda & C. chiude i battenti 2 anni prima, nel 1997.  


Raccogliamo le testimonianze degli ex operai che incontriamo: Michele Michelino, Silvestro Capelli, sua moglie Rosella Piazzoni, Daniela Trollio, Corrado Santomartino, Pasquale Giornaliero, Nicola Colucci e un ex della Marelli, Matteo Giordano. E’ una riserva operaia, il nucleo di una lunga battaglia iniziata con Tagarelli, con Franco Camporeale, Giuseppe Gobbo ed altri che non ci sono più. Hanno scritto un libro che racconta come loro siano riusciti «a portare sul banco degli imputati non solo i dirigenti di una fabbrica “di morte” ma un sistema economico che, in nome del profitto, calpesta, avvelena e uccide uomini e natura.» 
Qui il veleno si chiama amianto. Ma potrebbe chiamarsi arsenico, come a Manfredonia, diossina come a Seveso o CVM come a Porto Marghera. 

Prima di sederci a tavola, Michele Michelino, presidente del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio di Sesto San Giovanni, ci mostra un 45 giri autoprodotto con i canti incisi dal Coro degli operai della Breda. Sembra di stare in uno di quei Bar à Book spuntati come funghi a San Lorenzo a Roma, se non fosse per gli oggetti appartenuti alle vittime del lavoro, per le bacheche piene di rabbia e di orgoglio.

Michele Michelino dovrebbero brevettarlo, come ha fatto la Nintendo con l’idraulico Super Mario. E’ buffo, ma gli somiglia. Mette la prima salopette nel ‘69 a 16 anni per entrare alla Pirelli, reparto produzione cavi elettrici. Niente male come anno di battesimo. Poi in Breda, dal ’76 al ’97.
«Quando ho cominciato a lavorare – racconta Michele – gli operai erano 6.200.000. Oggi, malgrado la delocalizzazione, nonostante non ci siano più le grandi fabbriche, gli operai sono 6.450.000. Sembra incredibile, ma sono aumentati, sono 250.000 in più del ’69, ma sono divisi, sparpagliati. 

Ecco perché gli operai non hanno più la consapevolezza di esserci e credono a quello che dice che gli operai non esistono più.» 

Il pranzo scatena l’aneddotica e instilla il buonumore. Michele svela la famosa leggenda del “panino retribuito”. Ai tempi della cassa integrazione alla Breda, l’azienda andava avanti con 800 lavoratori fuori e 800 dentro. Poiché gli 800 “graziati” dovevano lavorare anche per gli 800 rifiutati, i cassintegrati organizzavano dei veri e propri picchetti gastronomici offrendo il panino a quelli di turno, una cooperativa organizzata col fondo cassa degli scioperanti. 


Poi Michele ci racconta di Brioche. Il suo nome è Giuseppe, un pugliese emigrato a Milano, come tanti. All’inizio viveva di espedienti, si aggirava sempre dalle parti della fabbrica. Finché un giorno si apposta vicino al bar della Breda, quello che apriva alle 5 del mattino, appena in tempo per il primo turno in fabbrica. Gli operai arrivavano da tutta la provincia, un via vai di pullman da Brescia, Bergamo e da tutta la Brianza. Approfittando del bar ancora vuoto, Giuseppe entra e punta una pistola giocattolo contro il barista. 


«La cassa è vuota, non lo vedi che gli operai non sono ancora arrivati?» borbotta il proprietario del bar continuando ad asciugare i suoi bicchieri. «Allora dammi il cappuccino e tutte le briosches» risponde Giuseppe. Più che l’onor potè il digiuno, verrebbe da dire, ma un metronotte che passava davanti al bar vede la pistola poggiata sul bancone e chiama la polizia. Picchiato in questura, ma rilasciato. Il barista, naturalmente, non aveva sporto denuncia. 

Da allora Giuseppe diventa per sempre e per tutti Brioche. Anche perché dopo qualche mese, Michelino se lo ritrova in Breda, a lavorare nella sua squadra, nel suo stesso reparto. 

Tra gli “emigranti” anche molti lucani. Come Nicola Colucci che ci racconta del merlo comunista. Viveva in una trattoria sotto il ponte della Breda e dalla sua gabbietta ha partecipato alle manifestazioni, ha condiviso gli scioperi, ha mandato a memoria i canti di lotta che gli operai intonavano davanti ai cancelli. E’ stato il cantore solitario di 20 anni di vita di fabbrica. «Fischiava il motivo di Bandiera rossa che era uno spasso. Se poi era in vena, te la faceva tutta, dall’inizio alla fine». 


Quanto di più lontano dal canto forte e puro del merlo, è purtroppo la voce di un altro operaio, Silvestro Cappelli operato alla laringe per sradicare un cancro da amianto. Adesso parla attraverso un foro praticato nella trachea. E’ spesso il testimonial – se così si può dire – della lotta del Comitato. Ha portato la sua storia a teatro con Frankenstein, atto unico in forma di oratorio della Compagnia degli Stracci e del Gruppo Monbotan.

Silvestro Capelli
…Sapeva dell’esistenza di un sistema per saldare testa e croce sui tubi che servivano per la trivellazione. Questo ingegnere negli anni ’70 è andato in America e ha ricercato questa macchina che gli americani avevano già fermato quindici anni prima perché avevano scoperto che la macchina uccideva. Ha comprato la macchina, l’ha portata a Sesto San Giovanni per la Breda Fucine e l’ha messa in opera. Io non credo, non penso che gli americani non abbiano detto niente; sta di fatto che la macchina ha cominciato a funzionare. Durante questo processo c’erano le vibrazioni da radioattività, il calore che faceva spruzzare metallo fuso in modo tale che doveva essere fatta in un padiglione come un baule chiuso coperto di uno strato di tre centimetri di amianto che veniva micronizzato, polverizzato. Si facevano circa 240 saldature al giorno. Ogni volta che c’era una saldatura si apriva la macchina, con la pistola ad aria compressa si soffiava per fare pulizia dove si andavano a posizionare i pezzi per la saldatura successiva. Questa polvere di amianto polverizzato viaggiava per tutto lo stabilimento. Siccome non esistevano aspiratori per trattenere questa polvere noi operai fungevamo da aspiratori. (dall'intervista a Silvestro Capelli)

Tratto da "I diari del camioncino. Il viaggio dei Tetes de Bois nell'Italia del lavoro" a cura di Timisoara Pinto (ilmanifesto, 2008)

© Riproduzione riservata

Nessun commento:

Posta un commento