sabato 8 febbraio 2014

L’importanza di chiamarsi Peppa Pig



Il cartone animato della generazione “touch-screen” (i bambini nati dopo il 2007, anno di diffusione dei primi smartphone) è sicuramente quello che gli inglesi, con immancabile sense of humor, hanno chiamato “Peppa Pig”, la maialina col profilo che ricorda il phon Rowenta della nostra infanzia. Un nome azzeccato ed efficace che rimbalza allegramente sulla bocca di tutti, genitori, nonni e bambini, dai 6 mesi ai 66 anni, quasi un codice comunicativo per entrare in connessione con la cosiddetta “lallazione”, quando i più piccini cominciano a produrre sillabe a ripetizione con le prime consonanti, la “m” di mamma, ma anche la “t”, la “d” e, soprattutto, la “p” di “pa-ppa” e di “pa-pà”. Ecco perché, subito dopo, arriva lei, la “pe-ppa” dei nostri tempi.

Il primo segreto è dunque questo, un nome che funziona o, come diceva Oscar Wilde, citato nel titolo di questo post,  che "procura delle vibrazioni", con un suono che scalda il cuore a sentirlo pronunciare. Tutti i bimbi cominciano a vibrare nel loro primo ballo quando parte il loop di note Sol Mi Do Re Sol / Sol Si Re Fa Mi Do della frenetica sigletta, a incorniciare episodi brevi, tarati sul giusto intervallo di concentrazione di un bambino così piccolo e sul tempo di carico di una lavatrice, ad esempio, qualora si volesse indagare anche questo tipo di risvolto pratico. Piccole pause per rifiatare senza sentirsi in colpa, essenziali per una mamma che in cinque minuti riesce a riconquistare la solitudine del bagno. Un sereno relax con Peppa Pig, programmata per ricominciare un attimo prima che il bambino stesso possa chiederlo, un pacchetto di episodi brevi tenuti insieme dall’inesorabile sigla a soddisfare il più importante dei requisiti: la ripetitività, in un’età insaziabile, in cui le richieste di bis sono potenzialmente infinite.
Molti si sono chiesti in questi ultimi mesi, il perché di tanta peppamania. Genialiata del nome a parte, i motivi si possono analizzare e sono semplici.


I bambini si identificano nell’egocentrismo fisiologico della protagonista. Se prima erano in tre i piccoli porcellini della Disney, ora è Peppa al centro della narrazione, proprio come nelle famiglie di oggi, dove le coppie arrivano tardi al primo figlio e prima di metterne in cantiere un altro, si concedono una pausa di riflessione di tre o quattro anni. Non c’è lupo cattivo (che, a proposito dei porcellini Disney creati negli anni ‘30, aveva la voce dell’indimenticabile Arnoldo Foà), non ci sono nemici da sconfiggere o atavici conflitti irrisolti, c’è solo un modello di società in cui potersi riconoscere.
Peppa è la versione moderna di Barbapapà, anche lui tutto rosa. I colori pastello, le forme morbide e arrotondate, l’ingenuità della linea, lontani anni luce dal 3D da inseguire a tutti i costi. E’ il cartone che più gli si avvicina, ma l’impegno sociale ed ecologista non è più appannaggio di un nucleo familiare di eroi speciali (con ben 7 figli), ma è a portata di tutti, delle famiglie estese di oggi che collaborano e fanno comunità, meglio se multiculturale, piena di amici e compagni di viaggio come non si vedeva dai tempi dell’arca di Noè. Un mondo animale variopinto, grande metafora dell’integrazione e della salvezza umana. Non è l’unico ritorno alle origini proposto dagli autori della serie.

Tutti gli episodi raccontano una quotidianità disarmante, che descrive l’ufficio del papà, la casa del compagno di scuola, l’ospedale, la visita medica, dentista o veterinario, le feste di compleanno, il parco giochi, l’orto urbano, la piscina, la gita fuori porta, la sosta per fare benzina. La casa è sulla collina, il sole è giallo con i suoi singoli raggi che si possono contare, sottili come le braccia dei personaggi, linee dritte ed essenziali, la stessa tecnica elementare utilizzata dai bambini che, nei loro primi disegni, mettono al centro proprio la famiglia. C’è poi il dettaglio degli occhi che, secondo un’analisi della psicoterapeuta Silvia Vegetti Finzi, nasconde una conoscenza della psicologia infantile da parte di chi ha inventato il cartone: «Peppa, anche di profilo, ha due occhi. E i bambini piccoli riconoscono la faccia proprio dagli occhi. Quindi il fatto che Peppa abbia gli occhi anche sul profilo rende tutto più facile».
Peppa e il suo fratellino George hanno i genitori che tutti vorrebbero, sempre presenti, ma non invadenti, ironici, complici, pronti all’autocritica, capaci di vivere per sempre felici e contenti, rotolandosi in una pozzanghera di fango.

C’è poi un’altra cosa. Peppa Pig è nata in Inghilterra nel 2004. E’ arrivata in Italia nel 2010. E’ il primo cartone modello Ikea, che propone il mondo edulcorato del cake design, un fai da te sognante, monotono e ripetitivo. L’arredo, le cornici al muro, il tavolo, il letto a castello in ferro laccato della cameretta, persino il dinosauro di pezza, giocattolo preferito di George, è un must della famosa catena svedese. Non ci sono giochi elettronici, ma se manca qualcosa, Mamma e Papà Pig la ordinano via Internet. Peppa e il fratellino giocano con le cose semplici che hanno a disposizione, persino il saltellare nelle pozzanghere nell'era dell’ iPad, è un tornare alle origini e ai giochi di strada di un tempo.

Infine, i grugniti. Devo ammettere che qui mi fermo, ma sono tre gli elementi che fanno di Peppa una maialina, il naso, il verso e il fango, e guarda caso sono proprio le cose meno gradevoli di tutta la storiella, edulcorata, dolciastra, ma dolcemente irriverente. “Il grugnito arriva dalla colonna sonora internazionale”, mi spiega Tatiana Dessi, la doppiatrice che ha dato l’anima a Peppa e che all'inizio non avrebbe mai scommesso sull’esito brillante e fortunato della nuova serie animata. Da circa 4 anni, Tatiana e gli altri doppiatori della famiglia Pig lavorano in isolamento e non più insieme come agli inizi, quando avevano tutta l’energia e l’assetto di un Quartetto Cetra. Si chiama “colonna separata”. Così, ciascuno di loro, in un solo turno, riesce a registrare episodi per non so quante puntate: “da soli si macina di più che in compagnia, non hai motivi di distrazione, chiacchiere o commenti, e le righe da leggere scorrono velocemente”.
Ha sempre esercitato un enorme fascino, su di me, il mondo del doppiaggio, quello di professionisti come Tatiana Dessi che oggi devono e riescono a doppiare persino se stessi.

Tatiana Dessi, voce di Peppa Pig

© Riproduzione riservata

5 commenti:

  1. Trovo l'articolo molto interessante; un'analisi accurata e puntuale, frutto di grande competenza. Complimenti!

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  2. sei stata molto brava,era molto interessante

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  3. PEPPA PIG PEPPA PIG PEPPA PIG VIVA PEPPA PIG:):):):):):):):):):):):):):):)

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