giovedì 25 aprile 2013

Mio fratello è figlio unico… ed io sono sua madre



I fatti: richiesta nel Municipio di appartenenza, 5 punti, due genitori lavoratori a tempo pieno, 18 punti, un altro figlio non residente (che non fa punteggio) e la tua domanda alla Scuola dell'Infanzia, la Scuola “Materna”, finisce all'undicesimo posto tra quelle respinte. Tutto questo prima ancora di andare a guardare il reddito. Valgono altri parametri: se hai fratelli e sorelle, se provieni da Nidi comunali, se ti trovi in condizione di netto svantaggio sul piano della salute del piccolo o dei genitori. Ma se il tuo compagno, ad esempio, ha altri figli a cui già provvede su tutti i fronti, ma non sono inseriti nel “nucleo familiare”, questo non ti aiuterà in graduatoria.

Su 32 posti, come puoi sperare che un terzo, in lista d’attesa prima di te, possa rinunciare? Questa volta ero davvero serena di farcela e ci contavo abbastanza, pensando di entrare di diritto nella cosiddetta scuola dell’obbligo. Di entrarci come mamma, s’intende. Invece scopro che, alla Materna, non c’è proprio nessuno ad attenderti. Altra incoerenza. Come potrebbe una scuola diventare improvvisamente obbligatoria a 6 anni, tralasciando al caso il periodo altamente formativo che la precede? E’ chiaro che anche qui si fa affidamento al senso del dovere e del sacrifico e che mamma, papà e nonni, in qualche modo, provvederanno all’inserimento sociale e scolastico dei figli pagando profumatamente scuole private, baby parking, baby sitter, babytaxi, ludoteche, alcune addirittura arredate con adorabili banchetti e sedioline in fòrmica, ad evocare la classi della nostra infanzia… una classe che non c’è più. 

Fin dal nome, “materna”, tanto per cambiare, l’antifona è sempre la stessa: i figli sono della madre e il padre è sempre, in qualche modo, incerto. E non è un caso. E’ un programma politico. E’ come avere la fascia di miss eleganza o miss cinema al concorso per la più bella. Non sei tu la prima, ma hai una qualità rara. Sei svantaggiata su tanti piani come donna e come madre, ma sei un’istituzione, sei la Scuola. Prima di ogni obbligo, c’è solo il richiamo ancestralmente materno. Costei ne sarà pure orgogliosa e onorata, ma questo non deve far scrollare di dosso agli altri, alla società, le proprie responsabilità. Perché non chiamarla “scuola sociale”? Certo, fa un po’ “centro sociale”, ma dai tre ai sei anni si compiono progressi da giganti, a proposito del cosiddetto inserimento o del precoce svezzamento. I figli sono di tutti. Io la penso così. E invece resti solo, spesso e volentieri, e sei figlia unica, con un figlio unico.

Degli effetti dei cambiamenti, un tempo, te ne accorgevi a lungo andare, vedevi i risultati delle trasformazioni solo con l’allontanarsi dell’orizzonte. Oggi i cambiamenti li vivi sulla tua pelle giorno per giorno. Se fai un figlio, sei punito. Non basta aver faticato tanto, prima, durante e dopo il parto, i problemi su come far quadrare tutto, figlio e lavoro, sempre che tu riesca a mantenerlo il posto di lavoro, ma sei pure colpevole di averne uno solo. In psicologia sociale un numero superiore al due fa “gruppo”, il terzo che spariglia. In casa, il terzo spariglia e basta. Non fa gruppo, non fa famiglia per un sistema che ti chiede due o tre figli affinché almeno uno possa entrare tranquillamente nella Scuola Materna, e poi non lo prevede. Ma neanche questo è detto. In molte rinunciano. Specie negli anni del Nido. Se devi lavorare per pagare l’Asilo, tanto vale goderti tuo figlio. Fino ai tre anni può essere anche un privilegio, se hai qualcuno che ti aiuta, ma non deve diventare un alibi. E gli altri tre prima delle elementari? 

Devi impugnare, si dice, la pratica, il che significa infilare una dopo l’altra una serie di coincidenze favorevoli, trovare l’ufficio, trovarlo aperto, trovarvi qualcuno dentro al suo posto, qualcuno al posto giusto, dopo aver atteso come una tigre in gabbia il tuo numero, pretendere che gli altri condividano la tua logica che poi è logica e basta ma sul modulo quello che tu stai chiedendo non è previsto e quindi la logica non è applicabile, magari condivisibile, ma inutilmente. 

Resistere, che non significa sopportare ma contrastare, serve sempre. Forse non sarai tu ad avvantaggiartene, ma a chi verrà dopo di te avrai spianato la strada. E forse, un giorno, sarà il tuo stesso datore di lavoro a prevedere un posto anche per la prole. Solo l’Imu oggi in Italia è stata concepita peggio, a proposito di parametri, mettendo in crisi anche le uniche certezze che ci erano rimaste, la casa e la mamma.